"Gloria nei cieli e Pace sulla terra". È la prima espressione che mi viene alla notizia della morte di papa Francesco. Ci ha stupito alla sua elezione, in quella sera in cui sono risuonate subito parole diverse da
quelle che si potevano attendere da un nuovo papa. Non per denigrare i precedenti: il grande Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, credo eletto per meriti teologici (Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede)
e per dare una continuità alla pastorale precedente. Di fatto, lo stesso papa Ratzinger, dopo qualche scivolata iniziale, ha dovuto assumere una statura di Pontefice che l'ha riscattato, a mio parere, dalle posizioni
più conservatrici e ha saputo riprendere nelle sue encicliche linee teologiche propositive. La serie di scandali che hanno investito la Chiesa non solo ne ha scosso la fiducia popolare, ma ha segnato la sua figura,
l'ha reso consapevole che le sue forze non erano sufficienti e adeguate per far fronte alla bufera. Le dimissioni sono divenute un atto di grande coraggio e responsabilità.
Fummo stupiti dall'apparire di Papa Bergoglio per i segnali di discontinuità da tempo attesi nel cattolicesimo chiamiamolo "progressista" ma mai ritenuti verificabili a breve. Il nome "Francesco" un incredibile programma
pastorale (c'è chi l'aveva prefigurato: la svolta nella Chiesa avverrà quando qualcuno assumerà quel nome, quel modello); il definirsi "Vescovo di Roma" prima che Pontefice: una ricollocazione a fianco di tutti i vescovi
delle diocesi del mondo, i veri titolari delle chiese locali, rinunciando all'alone da "Generale d'Armata" che il Papa, capo supremo della Chiesa di Cristo, ha incarnato nella storia. Una scelta dalla valenza fortemente
collegiale ed ecumenica. L'inchino e la richiesta di benedizione da parte del Popolo radunato, quel popolo di Dio che già il Vaticano II indicava come la base della Chiesa di cui la gerarchia era solo strumento (benché
l'ecclesiologia postconciliare non vi abbia mai dato seguito fino in fondo, alimentando anzi il clericalismo).
"Gloria di Dio": è il nome del compimento di tutte le speranze, l'uscita dai limiti, pienezza della pace già attiva, grazia che ha il sapore di una Speranza che non delude (Rm 5,5): Cristo è l'anticipazione della "gloria",
dei "cieli e terra nuova".
Ne seguì uno stile di vita (abitare a Santa Marta, viaggiare) e di predicazione (un linguaggio immediato, profetico, coinvolgente). Ci sono espressioni (la chiesa "ospedale da campo"; la necessità per i suoi pastori di sentire
"l'odore delle pecore" ...) che hanno dato il tono del suo modo di approcciare la fede e trasmetterla (le omelie quotidiane nelle messe a Santa Marta). Una teologia del popolo (di matrice sudamericana), una spinta innovativa
sul piano dottrinale attuata solo in modo indiretto, evocando necessità di revisione pur nella consapevolezza di non essere lui ancora l'uomo della svolta (non ha nascosto posizioni nette conservatrici: gender, aborto, con
qualche scivolone espressivo e semplificazione); anzi, caldeggiando il ritorno anche a dimensioni affettive e popolari che l'Occidente cristiano ha guardato con sospetto; scegliendo la via indiretta di una pastorale su fronti
caldi come quello della vita sessuale e matrimoniale (omosessualità, risposati, divorziati) che gli ha consentito di porre al centro il criterio del "discernimento": un impegno a non giudicare, ma a valutare insieme alle
persone la condizione di ciascuno davanti a Dio. Un onere caricato sulle spalle dei presbiteri non senza l'azzardo di sapere che la maggior parte di loro (ma chi ne è capace tra noi?) si sarebbero trovati del tutto impreparati.
La chiave di volta del suo pontificato è stata la Misericordia, volto autentico di Dio manifestato nel Cristo. Non solo un "anno" straordinario, ma uno stile da incarnare in tutti i suoi risvolti. Ciò che mi ha stupito fu come
questa semplice parola, offerta al mondo fin dall'inizio del pontificato, ha catturato l'attenzione e l'accoglienza di molti e, in modo prioritario e pienamente consapevole, dei "lontani", degli "irregolari", del mondo "laico",
di coloro che i vangeli includerebbe tra quelli che precederanno nel regno scribi e farisei, i presunti ortodossi. La Misericordia come acqua di cui il mondo attendeva il dono. Parole di Vangelo: queste sono quelle udite da
papa Francesco e subito riconosciute! Non importa se poi eluse, dimenticate; c'è chi li ha anche fortemente osteggiate e criticate. In ogni profeta c'è qualche elemento eccessivo, che chiede mediazioni; ma c'è anche quella forza
dirompente che inchioda alle proprie responsabilità, alla coerenza – per i discepoli di Cristo – con il proprio battesimo.
Della Misericordia ecco la declinazione nei suoi diversi aspetti. Il perdono e la cura. Il cuore che si piega sui feriti dello spirito, sui perdenti (ad esempio, l'attenzione ai carcerati); il cuore e le mani che si piegano
sulle ferite del corpo, sugli scarti della società (ad esempio i migranti, non emergenza, ma segno dei tempi). Ancora, la sua presenza forte, autorevole, capace di interpretare il sentire diffuso di fronte agli eventi epocali
di questo decennio di pontificato: la pandemia per il Covid-19 con la memorabile preghiera solitaria in piazza San Pietro; l'appello pressante contro la guerra e il riarmo che l'invasione dell'Ucraina, i fatti di Gaza, insieme
alle precedenti molteplici guerre (Siria, Sudan, Myanmar, ...), ha solo portato alla ribalta. Parole contro il pensare del mondo, parole del profeta non disgiunte da continui tentativi di agire diplomaticamente al posto di
color che vi erano deputati.
Accanto a questo, la pubblicazione di libri e documenti rilevanti. Dall'esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013), all'Amoris laetitia sull'amore nella famiglia (2016) alle encicliche Laudato si'
sulla cura della casa comune (2015) e Laudate Deum sulla crisi climatica (2023), fino a Fratelli tutti sulla fraternità e l'amicizia sociale (2020). Basta ricordarle, saranno da riprendere, da non dimenticare.
Qui si incontra il Bergoglio che sa analizzare criticamente i tempi che viviamo e proporre la luce del vangelo. Testi lunghi, non facili, densi, potenti, talvolta epocali.
Ancora e per finire, l'avventura sorprendente del Sinodo universale che ha immesso nella coscienza e nella prassi delle chiese la "sinodalità" come esperienza di chiesa, oltre la collegialità dei vescovi, in forza
del comune battesimo e della responsabilità comune nella vita della chiesa. Un'avventura conclusa l'ottobre scorso e che proseguirà nei suoi effetti negli anni prossimi, influenzando anche i sinodi delle chiese nazionali
(come quello della chiesa italiana, che peraltro doveva chiudersi all'inizio aprile e che ha visto la "rivolta" dei delegati (vescovi compresi) di fronte a un incredibile documento di lavoro che pareva svuotare di senso
tutto il lavoro dei quattro anni precedenti. Un rimando al prossimo ottobre che significa almeno che dalla sinodalità, dalla corresponsabilità di tutti, non si torna indietro).
Certo molto dipenderà dal nuovo Papa. Per ora possiamo solo riprendere una annotazione ascoltata oggi (21 aprile) da un vaticanista intervistato: ciò che ci lascia Papa Francesco oltre a tutto quanto s'è detto e si potrebbe
dire, è che è stato il primo Papa di una Chiesa non più occidentale, una chiesa cattolica, universale, dai molteplici centri, un poliedro di interpretazioni dell'unico vangelo, di esperienze, di forme di santità vissute. Altro
che un Papa Re e una Chiesa Monarchica!
Un cammino sulla Via di Gesù di Nazaret per riscoprirne la figura e il Vangelo. Vi invitiamo a un percorso che si svilupperà nel tempo,
attraverso tappe fatte di introduzioni alla figura storica e ad aspetti del messaggio (lezioni) nonché attraverso commenti a passi
evangelici (lectio) uniti al reciproco confronto.