Ci sono momenti storici nei quali le cose che diamo per scontate appaiono nella loro precarietà e nella loro assoluta desiderabilità. Davanti al quadro effettivamente terribile (anche per gli ottimisti) degli
eventi mondiali additare la speranza appare quasi coraggioso. Non è solo il compito del Papa, è un elemento costitutivo del cristiano: la speranza non è un vago auspicio del tipo "speriamo che me la cavo",
è una virtù teologale che si radica nell'esperienza storica di Gesù, paradossalmente, nel momento finale della passione. Va dunque letta con attenzione.
Il Giubileo si rivolge a tutti, al di là dei credenti, a tutti gli sfiduciati. Il titolo della bolla d'indizione è l'annuncio giubilare teologicamente forte: "la speranza non delude", tratto da un inciso di Paolo:
"La speranza non delude perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato". Speriamo perché Gesù ha sperato dal Getzemani in poi che il Padre non lo abbandonasse.
Nonostante abbia anche lui ceduto allo sconforto (sulla croce grida il sentito abbandono!), in realtà lui stesso è stato destinatario della dedizione del Padre. Paolo e noi godiamo di questa attestazione:
"chi ci separerà dall'amore di Cristo?". Poco prima afferma: "Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio".
"Gloria di Dio": è il nome del compimento di tutte le speranze, l'uscita dai limiti, pienezza della pace già attiva, grazia che ha il sapore di una Speranza che non delude (Rm 5,5): Cristo è l'anticipazione della "gloria",
dei "cieli e terra nuova".
C'è differenza, dunque tra le nostre speranze rivolte ai bisogni, anche alti, sublimi, e la Speranza che nutre il credente. Le prime impattano con la storia, i fallimenti, le contraddizioni e la precarietà della vita.
La seconda è il fondamento e la garanzia, l'alimento di tutte le nostre possibili speranze. È lo spazio di libertà e di impegno, di creatività d'amore che fa di ogni gesto l'incarnazione anticipata della Gloria di Dio.
Nelle quotidiane e sorprendenti possibilità della carità tutto viene donato. Tutto, dal quotidiano servizio fino al definitivo incontro con la morte e la resurrezione (perché non c'è l'una senza l'altra).
Quanta creatività ci è concessa in questo raggio d'azione! Per questo: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza"
(Rm 5,3-4). Speranza e pazienza sono i pilastri che il Papa addita.
Sperare non è passività, è responsabilità presente. Si è uomini dando Speranza alle nostre povere speranze.
In questo quadro il Giubileo viene offerto come un momento forte di nutrimento spirituale. Si ricorda come fin dal primo giubileo di Bonifacio VIII (1300) si respirasse l'aria della misericordia che rappresenta la più
determinata speranza umana (ricordiamo che papa Francesco inaugurò di fatto il pontificato con il giubileo straordinario del 2015 ad essa dedicato). Il pellegrinaggio rappresenta un cammino di ricerca, di avvicinamento
alle sorgenti della misericordia; cammino che ha effettivamente anche un valore fisico, geografico: di città in città, di paese in paese, si incontrano e si superano i confini ristretti del nostro egocentrismo e della nostra
pretesa difesa identitaria. Il pellegrinaggio non è una vacanza (una sospensione) dall'impegno ordinario, anzi, è l'immersione certo straordinaria nell'impegno di "scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del
Vangelo". (Vaticano II, Gaudium et spes, n. 4)
Cosa dovrebbe maturare in noi in questo cammino? Riassumendo le sue considerazioni, che invito a leggere direttamente, Francesco ci offre un breviario (propriamente da recitare ogni giorno) per non dimenticare quanto ci abita:
anelito di pace (vs la guerra), anelito di vita (vs la perdita del desiderio di trasmettere vita), anelito di libertà (vs le prigioni; qui un appello a praticare la liberazione dei detenuti come rispetto della loro dignità,
delle condizioni carcerarie, abolizione della pena di morte), anelito di guarigione (vs le malattie, le disabilità emarginati), anelito a sognare il futuro (vs la privazione delle possibilità che i giovani incontrano, che non
può che tradursi in ribellione, violenza, trasgressione, autodistruzione; ma anche vs l'emarginazione e squalificazione degli anziani), anelito all'accoglienza (vs il rifiuto e l'abbandono di migranti, esuli, profughi),
anelito a una vita degna (vs le povertà dilaganti, la concentrazione dei beni della terra destinati a tutti; qui la ripresa di un altro segno profondamente salvifico: il condono dei debiti dei paesi più poveri, in forza anche
di quel enorme "debito ecologico" che quelli ricchi hanno accumulato nei loro confronti.). La scena drammatica del mondo tiene in sé i semi del nuovo. Qui ci sono questioni di cui i credenti, la chiesa tutta, devono assumere
rinnovata consapevolezza.
Solo allora si potranno riprendere (e rileggere) anche quelle questioni che la bolla indica relative alle classiche speranze sull'aldilà della morte, giudizio, beatitudine, vita eterna, e in vista di ciò la ripresa della prassi
sacramentale della purificazione e confessione, del perdono dei peccati. Solo allora le renderemo credibili.