Editoriale - 24 Gennaio 2023
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MEMORIA DEL CARD. MARTINI

A dieci anni dalla morte del card. Arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini (1927-2012) è utile non solo celebrarne la figura, quanto raccoglierne l'eredità proprio in un tempo in cui la chiesa vive il cammino sinodale. L'abbiamo fatto con l'intervento di Marco Vergottini, domenica 15 gennaio 2023 dal quale assumiamo alcuni spunti. Grande biblista, guardava alla chiesa alla luce della Parola e forse per questo i suoi interventi sono sempre stati connotati da una freschezza evangelica ammirata da un lato, e guardata con una certa distanza, dall'altro, proprio per la sua forza profetica e rinnovatrice. I suoi "sogni" andarono incontro a molte delusioni, tanto da dichiarare nell'ultima intervista al Corriere della Sera – pubblicata il giorno dopo la morte – "la chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura di avere coraggio?".
I suoi sogni sono stati espressi chiaramente fin dalle parole usate all'ingresso a Milano come arcivescovo (10 febbraio 1980), peraltro senza cortei d'onore ma con un pellegrinaggio da piazza Castello al Duomo con tre tappe di letture bibliche e preghiera. Mi sono chiesto, e mi è stato chiesto più volte. Come vedo e desidero la Chiesa di domani? Quale immagine di Chiesa lo Spirito mi mette dentro il cuore? Ma come è questa Chiesa? Si può tentare di delinearne almeno qualche caratteristica?
È una Chiesa pienamente sottomessa alla parola di Dio, nutrita e liberata da questa Parola.
Una Chiesa che mette l'eucaristia al centro della sua vita, che contempla il suo Signore, che compie tutto quanto fa «in memoria di lui» e modellandosi sulla Sua capacità di dono.
Una Chiesa che non ha paura di utilizzare strutture e mezzi umani, ma che se ne serve e non ne diviene serva.
Una Chiesa che desidera parlare al mondo di oggi, alla cultura, alle diverse civiltà, con la parola semplice dell'evangelo.
Una Chiesa che parla più con i fatti che con le parole; che non dice se non parole che partano dai fatti e si appoggino ai fatti. (…).
Una Chiesa attenta ai segni della presenza dello Spirito nei nostri tempi, ovunque si manifestino.
Una Chiesa conscia del cammino arduo e difficile di molta gente oggi, delle sofferenze quasi insopportabili di tanta parte dell'umanità, sinceramente partecipe delle pene di tutti e desiderosa di consolare.
Una Chiesa che porta la parola liberatrice e incoraggiante del Vangelo a coloro che sono gravati da pesanti fardelli, memore della parola di Gesù: «Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito» (Lc 11,46).
Una Chiesa capace di scoprire i nuovi poveri, e non troppo preoccupata di sbagliare nello sforzo di aiutarli in maniera creativa.
C'è già tutto l'essenziale anche per il camino sinodale di oggi. Il primato della Parola e il primato del dialogo con il mondo emergono fortemente e si tradurranno in due iniziative emblematiche. La Scuola della Parola radunava in Duomo migliaia di giovani: seduto a un tavolino, Martini proponeva una lectio cui seguiva il silenzio e la preghiera. Un successo. Un modo di accostarsi alla Scrittura e lasciarsi interpellare. Martini chiede ai credenti di approfondire, di verificare la propria fede, di non presumere sicurezze davanti a Dio. Chiede di entrare in dialogo con la cultura contemporanea, con le idee, le voci pensanti. La Cattedra dei non credenti diventa l'occasione di dialoghi e confronti tra voci diverse sulle grandi domande di senso. In altre parole, egli riteneva che affrontare un dialogo esplicitamente sui contenuti dogmatici della fede cristiana avrebbe rischiato di arenarsi su rigide contrapposizioni, mentre si trattava di mettere a fuoco quei dinamismi che attanagliano la coscienza di ogni uomo e donna. In questo modo superava anche un certo steccato tra mondo dei credenti e dei laici non credenti, come si diceva: «Qualcuno potrebbe chiedersi; esistono davvero le categorie di credenti e di non credenti? Io non ho voluto approfondire tale tema. Mi sono invece fatto forte di una parola di Norberto Bobbio che disse un giorno: "Per me non ci sono credenti o non credenti, ma solo pensanti o non pensanti"». Non si tratta di buonismo, ma di non dividere, non separare, piuttosto agire perché – come disse da biblista – dall'uomo vecchio fiorisca l'uomo nuovo. Si trattava di superare il pensiero ideologico contrapposto (ricordiamo che erano gli "anni di piombo"): «Brandire un credo, sia esso scientifico, filosofico o teologico, per far quadrare i conti imponendo una soluzione, è dolorosa premessa per un'ideologia fonte di violenza» (Martini 1999). Non ultimi vanno ricordati i Discorsi di sant'Ambrogio tradizionalmente rivolti alla città, ai temi di attualità politica e sociale, sempre puntuali e capaci di orientare il giudizio e l'azione.
Un ulteriore momento che va ricordato, da inserire nell'attenzione al rinnovamento della chiesa perseguito, a livello locale anche con il Sinodo della chiesa milanese (1993-1995), è il suo contributo al Sinodo dei vescovi europei il 7 ottobre 1999, otto minuti densi e capaci di dissolvere molte parole vane e usate. Evocando il vescovo Basil Hume, morto da poco, utilizza l’espressione di M.L. King ("I had a dream").
In primo luogo, egli sognava che l'Europa riscoprisse la sua originale vocazione grazie alla coltivazione di una sempre maggiore familiarità con la Bibbia: "La mia esperienza mi ha convinto che la Parola di Dio ha molto da dire alla gente di oggi e di domani. "Lampada per i miei passi è la tua parola – dice il Salmo – e luce sul mio cammino". Sono parole che vorrei fossero scritte sulla mia tomba". Così è stato. Il sogno successivo immaginava che la parrocchia – da molti ormai ritenuta un'istituzione anacronistica – continuasse a rappresentare sul territorio la presenza ordinaria e pubblica del messaggio cristiano, capace di testimoniare in parole e opere la presenza del Risorto. In controtendenza con quanti sostenevano che una vivificazione spirituale dell'Europa poteva essere assicurata dai nuovi movimenti ecclesiali, ribadendo l'importanza di una pastorale che abita presso la vita quotidiana delle persone, che accoglie tutti indiscriminatamente secondo una logica popolare e non elitaria, che sappia proporre itinerari di fede differenziati (per diverse fasce di età e di maturità spirituale), onde restituire vitalità e ardore alla testimonianza credente. L'ultimo sogno consisteva nell'auspicio che la Chiesa universale si dotasse di uno strumento autorevole che, nel pieno esercizio della collegialità episcopale, rilanciasse con coraggio l'autentico spirito di rinnovamento conciliare, da troppo tempo abbandonato, e affrontasse quei nodi che il Vaticano II aveva lasciato aperti: il ruolo della donna nella società e nella Chiesa, la valorizzazione ministeriale di fedeli laici, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell'ortodossia e il rilancio della ecumenismo, il rapporto tra democrazia e valori, tra leggi civili e legge morale. Alcuni organi di stampa sostennero che si trattava dell'evocazione di un nuovo concilio, benché Martini si guardò bene dall'utilizzare quella espressione; ad essere reclamata, semmai, era l'urgenza di un 'confronto sinodale' di alto profilo.
Se Martini ha seminato, papa Francesco oggi coltiva, in attesa di frutti.

Fabrizio Filiberti


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